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sabato 23 aprile 2011

Paolo Biscottini - L'opera d'arte dell'800 e le tensioni risorgimentali

Gauss

Paolo Biscottini è personaggio
ben noto ai monzesi. Prima di assumere il suo attuale incarico di direttore del Museo Diocesano di Milano, da lui fondato nel 1998, ha diretto i Musei Civici e la Villa Reale di Monza ed è stato illuminato ispiratore della vita culturale della nostra città.
Nel programma di celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Novaluna lo ha invitato a tornare a Monza per un esame critico del Risorgimento visto e interpretato attraverso la pittura del tempo. Il tema della serata, “L’opera d’arte dell’800 e le tensioni risorgimentali” per Biscottini è stata anche occasione di ritorno a quelle ricerche sull’Ottocento lombardo, cui proprio a Monza si era lungamente e intensamente dedicato.
La relazione di Biscottini sostiene con dovizia di documenti di supporto, senza reticenze e senza cedimenti all’apologia patriottarda, una tesi stimolante e imbarazzante, che la pittura risorgimentale italiana è più bella che vera. Non c’è, nelle opere dei pittori dell’epopea unitaria, la rappresentazione realistica, cruda e dolente, degli eventi sconvolgenti che hanno portato alla unificazione della penisola sotto la monarchia dei Savoia. Sul fatto prevale l’interpretazione, la narrazione veritiera cede il passo all’evocazione estetica, sentimentale, intimistica. Nella descrizione edulcorata e retoricamente encomiastica delle vicende fondative dello Stato italiano, sopravvissuta fino ai nostri giorni, Biscottini legge l’intento deliberato di relegare in secondo piano, se non proprio di nascondere, il lato conflittuale, i problemi irrisolti, le difficoltà e le carenze, sia culturali che economiche che politiche, del processo di fusione degli Stati pre-risorgimentali in una entità politica unitaria. Ciò che fa ritenere che ancora oggi la nazione italiana sia una grande incompiuta e impone al tempo presente il dovere di una rivisitazione critica.

La tesi di Biscottini prende forma e sostanza nel commento ad una lunga e avvincente sequenza di proiezioni di opere pittoriche, che prende le mosse dalla coeva pittura francese.
Siamo nel 1819 e la tragica vicenda dei naufraghi della nave Medusa abbandonati su una zattera, con i susseguenti episodi di violenza e di sopraffazione fra i sopravvissuti sconvolge la Francia. Géricault se ne fa interprete con un’opera, la Zattera della Medusa, che fa sensazione e suscita vive proteste per il crudo realismo della rappresentazione. I giovani corpi esanimi in primo piano, il vecchio desolato che non si rassegna ad abbandonarli alla furia del mare, i drappi drammaticamente sventolati verso un lontanissimo invisibile vascello, il romantico tumulto delle passioni immerso in quello altrettanto violento della natura dicono, con le parole di Biscottini, l’eroismo della verità.
Thèodore Gèricault, Zattera della Medusa, 1819

Altrettanto cruenta e veritiera è la Libertà che guida il popolo di Delacroix. In primo piano il macabro realismo della morte sulle barricate apre la strada alla Libertà, una fanciulla seminuda che, berretto frigio in testa, avanza imbracciando il fucile e sventolando il tricolore. Al suo seguito, in un clima di forte entusiasmo romantico, la partecipazione di tutte le classi sociali del popolo francese, il borghese, il proletario, il soldato, il bambino.
Eugéne Delacroix, Libertà che guida il popolo, 1930
Nell’opera di Gros Napoleone sul campo di battaglia di Eylau, l’imperatore attraversa il campo di battaglia dopo il combattimento, con ancora in primo piano una forte notazione realistica data dai morti e dai feriti della più sanguinosa delle battaglie napoleoniche. Napoleone si erge sul livido scenario della pianura russa come il vincitore che è anche pacificatore e soccorritore, e il suo esercito come la forza che libera i popoli dalla tirannia. Antoine-Jean Gros, Napoleone sul campo di battaglia di Eylau, 1808
La camicia bianca illuminata, simbolo di innocenza, del martire dell’insurrezione contro la dominazione francese nei Fusilamientos del tres de mayo di Goya si staglia nella notte nera, il colore della morte, che copre Madrid. Le braccia del condannato, alzate e aperte come nel crocifisso, si oppongono alla lugubre, disumana schiera dei fucilatori senza volto. Da questo quadro, divenuto simbolo universale della rivolta per la libertà popoli, emana l’eroismo della libertà.
Francisco Goya, Fusilamientos del tre de mayo, 1814
Lo stesso eroico anelito di pace e di libertà che ritroviamo nell’urlo disperato e lacerante di Guernica di Picasso, l’ultimo grande dipinto dedicato ad una guerra, il manifesto che denuncia al mondo intero la crudeltà e l'ingiustizia della guerra.Pablo Picasso, Guernica, 1951

Nella pittura risorgimentale italiana questa forza di autenticità storica non si trova .

Pochi anni prima dei Fusilamientos di Goya in Spagna, Appiani in Italia lavora ai Fasti di Napoleone, un ciclo di esaltazione, una sorta di epopea classicheggiante racchiusa entro una cornice letteraria.
Andrea Appiani, Fasti di Napoleone, 1808
Nel celebre quadro Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria Hayez sceglie di dipingere una storia greca per dire cose italiane. Nella sua elegante compostezza, il popolo di Parga costretto all’esilio sembra atteggiato nel gesto artificioso di una parata teatrale, così come scenografica appare sullo sfondo la città arroccata e stretta fra i monti e il mare. Francesco Hayez, Gli abitanti di Parga abbandonano la loro patria, 1826-31
Similmente scenografico è l’intento pittorico dell’Induno nella Battaglia della Cernaja. La vicenda bellica cui si ricollega sembra quasi presa a pretesto per una superba rappresentazione del paesaggio, cui va tutta l’ammirazione dell’osservatore a scapito dell’attenzione per i fatti e i personaggi.
Gerolamo Induno, Battaglia della Cernaja, 1857
Meno retorico e più convincente è il Fattori dell’Assalto a Madonna della Scoperta o Episodio della battaglia di San Martino, una meravigliosa descrizione di una pagina di storia colta nel momento in cui, sul campo di battaglia cosparso di caduti, si sta preparando la carica di cavalleria che ne deciderà l’esito vittorioso.Giovanni Fattori, Assalto a Madonna della Scoperta, 1864-68

La Presa di Palestro del 30 maggio 1859 è una scena di battaglia vista dalle retrovie, come spesso accade ancor oggi nei reportage di guerra. L’ammassamento di soldati è ripreso dall’Induno in atteggiamento di innaturale staticità mentre il clamore e l’orrore dello scontro sono solo intuìti dalla nube di fumo che, come una domanda che impedimenti politici lasciano senza risposta, si alza dal villaggio conquistato. Gerolamo Induno, Presa di Palestro del 30 maggio 1859, 1860
Ancor più immagine da inviato sul fronte di guerra è la Battaglia di Magenta dell’Induno, concentrata com’è sui dettagli militari dell’evento, resi in maniera raffinata e puntuale. L’intera composizione, che pure presenta in primo piano i corpi dei caduti di entrambi gli schieramenti (citazione letteraria da Delacroix?), è dominata e quasi contraddetta dall’oleografico lirismo del paesaggio, con i pioppi che proiettano il loro tremulo profilo contro un cielo azzurro impreziosito da nubi rosate. Gerolamo Induno, Battaglia di Magenta, 1861

La carica dinamica dello scontro bellico è invece efficacemente presente nella Battaglia di Varese di Faruffini, una complessa vista ravvicinata dell’attacco di un reparto dei Cacciatori delle Alpi ad una postazione austriaca. Protagonista dell’azione drammatica è la figura di Ernesto Cairoli colto, come in un’istantanea fotografica, nel momento in cui viene colpito a morte. Federico Faruffini, Battaglia di Varese, 1862

Con la Scena delle Cinque giornate di Milano abbiamo un primo ragguardevole esempio di interpretazione in chiave sentimentale, intrinsecamente melodrammatica, dell’epopea risorgimentale. In una composizione di accademica gestualità, un amorevole abbraccio muliebre, assecondato dal pianto del figlioletto, trattiene il vigore bellicoso del marito ribelle, spada sguainata in mano e bandiera tricolore sulla spalla.
Anonimo, Scena delle Cinque giornate di Milano, 1848-49
Al genere della pittura aneddotica popolare appartiene la Trasteverina uccisa da una bomba, che si ispira ad un fatto realmente accaduto, la morte di una giovane cucitrice vittima dello scoppio di una bomba francese. La luce che penetra dallo squarcio nella parete illumina parzialmente il corpo esanime della fanciulla che sembrerebbe dormire, se non fosse per una piccola macchia di sangue sulla fronte. Un’opera concepita in una dimensione intima, che aspira a testimoniare un periodo cruciale della storia patria nella vicenda sfortunata di un singolo, anonimo personaggio popolare.
Gerolamo Induno, Trasteverina uccisa da una bomba, 1850
Una luminosa tiepida aria primaverile investe dalla finestra spalancata una giovane donna intenta a cucire il tricolore in 26 aprile 1859, il giorno precedente l’abbandono di Firenze da parte del granduca Leopoldo II. E’ un quadro di intonazione realista, che sembra relegare la donna del Risorgimento a un ruolo ristretto nei confini dell’etica casalinga, lontano dai luioghi e dai momenti storicamente determinanti. Odoardo Borrani, 26 aprile 1859, 1861
In una calda atmosfera domestica è avvolto anche il Racconto del ferito, in cui l’attenzione della famiglia alla narrazione del soldato ferito in battaglia testimonia la diffusa partecipazione popolare agli avvenimenti risorgimentali. La guerra è descritta in maniera indiretta, il pittore non intende tanto ritrarre né la ferita né il ferito né il feritore quanto proporre il racconto della ferita come esaltazione mediata di eroismo. Gerolamo Induno, Racconto del ferito,1866
La Sepoltura Garibaldina si iscrive nel genere dell’allegoria. Il sacrificio del garibaldino è rappresentato attraverso il dolore di due giovani donne accanto alla sua bara. Come e perché sia morto non vale sapere, conta la commozione delle donne, e con la loro quella dell'osservatore, per la sua morte. Filippo Liardo, Sepoltura garibaldina, 1862-64

Della pace di Villafranca, un trattato controverso e storicamente cruciale nello svolgimento delle Guerre d’Indipendenza, il Bollettino del giorno 14 luglio 1859 che annunziava la pace di Villafranca dà un’illustrazione da gazzetta popolare. La quinta teatrale, l'ampia apertura sul paesaggio con il profilo del Duomo di Milano in lontananza, la disposizione e la posa dei personaggi, la varietà dei tipi umani e dei costumi compongono un quadro studiatamente melodrammatico, un'elaborazione pittorica che echeggia Verdi e Manzoni (e ignora Mazzini).
Domenico Induno, Bollettino del giorno 14 luglio 1859 che annunciava la pace di Villafranca, 1862
E' con Mosè Bianchi che la pittura patriottica si appropria dei valori di veridicità e di forza di convincimento. Ne I Fratelli sono al campo tre donne che, per vesti e atteggiamento, appaiono di diversa estrazione sociale, si trovano accomunate nell'ansia per la sorte dei loro cari che mettono a rischio la vita nei combattimenti per l'indipendenza e l'unità d'Italia. Le tre donne pregano in solitario raccoglimento ai piedi dell'altare di una chiesa, da molti particolari riconoscibile come il Duomo di Monza e il loro abbigliamento allude al tricolore d'Italia. L'impersonalità delle tre figure, ottenuta con il nascondimento del volto, mira a suggerire che ogni donna d'Italia è partecipe della loro trepidazione. L'essenzialità della composizione inserita nella penombra sacrale dell'ambiente esprime una sincerità di sentimenti anticipatrice della pittura del Novecento.
Mosè Bianchi, I fratelli sono al campo, 1869
Gauss



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